Il primo ciclo quadriennale della Fiera è stato intitolato ai quattro elementi naturali basilari della tradizione occidentale acqua (1988), terra (1989), fuoco (1990), e aria (1991). Questa scelta è stata dettata dalla necessità di sottolineare la convinzione che la conversione ecologica non potrà essere solo una questione "tecnica" o "politica" o "amministrativa". Non basterà sviluppare nuove tecnologie a basso spreco energetico o sistemi più efficaci di smaltimento dei rifiuti, né accontentarsi di filtri e depuratori più numerosi e meglio funzionanti o di autorità ambientali vigili e preparate. Senz'altro ci vorrà tutto questo, e presto. Ma come in una guerra non basta attrezzare ospedali da campo più efficaci per curare meglio le vittime, nell'odierna guerra che viene quotidianamente condotta contro l'umanità e contro la rimanente natura, occorre innanzi tutto mirare a soluzioni di pace. Per "conversione ecologica" dunque intendiamo lo sforzo complessivo - materiale e culturale, economico e tecnologico non meno che etico - in quella direzione e le "utopie concrete" possono sostanziare tante piccole paci da invogliare molti a volerla tentare anche in grande.
Così mettere al centro dei nostri primi appuntamenti annuali non singoli aspetti della emergenza ambientale, bensì gli elementi fondamentali che caratterizzano la nostra "idea di natura" e il nostro rapporto con essa, ci è parso il modo più adatto per sottolineare la necessità di non indulgere alle sole soluzioni tecnologiche, bensì di cercare di lavorare su tutti gli aspetti della nostra vita che sono di fatto coinvolti.
Dichiarazione Fiera "Acqua"
Come sarà il pensiero di donne e uomini che nella loro infanzia hanno incontrato solo corsi d'acqua cementati e maleodoranti, che respingono in luogo di attrarre? Bambini e ragazzi non possono più giocare, bagnarsi, guardare e rispecchiarsi in acque limpide che scorrono, se non in casi sempre più rari.
L'acqua è origine, possibilità e caratteristica di tutto ciò che è organico nel nostro pianeta. Ogni aspetto della vita vi si rispecchia. Disseta e lava, rende verde di piante il nostro orizzonte, raccoglie, scompone, trasforma e distribuisce i rifiuti, come rene della terra.
Se è vero che il nostro pensare è legato al fluire, allo scorrere, forse non ci rendiamo ancora ben conto di quale mutamento di atteggiamento e di visione del mondo può prodursi in una generazione che è stata privata di ogni possibilità di incontro con l'acqua viva.
L'acqua non è confinata e ciascun vivente la prende in prestito. Non è una risorsa a nostra esclusiva disposizione ma un bene di cui condividiamo l'uso con tutti gli altri esseri viventi. Solo accettando questo uso non esclusivo possiamo garantirci anche il nostro uso particolare: la qualità dell'acqua è infatti promossa, mantenuta e rinnovata dalla sanità e dall'equilibrio degli ecosistemi acquatici. Occorre dunque rinunciare a rendere l'acqua compatibile con le nostre esigenze e viceversa modificare le nostre esigenze perché siano compatibili con l'acqua.
Lo stato disastroso in cui si trovano le nostre acque è sotto gli occhi di tutti. Non è possibile perciò accontentarsi di una politica di emergenza che di volta in volta cerchi di porre rimedio ai danni già recati. È necessaria una svolta ecologica che avvii una modificazione profonda del nostro modo di rapportarci all'acqua e di usarla. Prevenire l'inquinamento, piuttosto che risanare. Rinunciare all'illusione che scienza e tecnologia possano sempre risolvere tutto, dopo. Anche la migliore macchina non è in grado di annullare la differenza che passa tra acqua depurata e acqua pulita.
I materiali della esposizione, le proposte, le esperienze presentate nel corso della Fiera delle Utopie Concrete 88 hanno mostrato che le idee, i progetti e le conoscenze necessarie per cambiare ci sono. Da dove cominciare?
L'acqua non è divisibile in segmenti separati, il suo ciclo è complesso e non segue le regole delle nostre di
visioni amministrative. Un fiume non è una linea di confine, non divide la terra ma la unisce. L'acqua che scorre è un reticolo che attraversa e collega il territorio. Non tenerne conto porta chi inquina a monte del fiume Bormida a contrapporsi a chi, a valle, subisce l'inquinamento. L'uso dell'acqua va dunque organizzato all'interno dei confini naturali del bacino idrografico, superando le limitazioni poste dai confini politici e amministrativi.
La qualità dell'acqua che utilizziamo e restituiamo al suo ambiente naturale deve essere tale da garantire la qualità e la quantità della flora e della fauna dei corsi d'acqua. Agli attuali sistemi di analisi vanno dunque affiancati quei metodi che si basano sull'esame degli ecosistemi. Altrimenti potrebbe avverarsi il paradosso di acque accettabili secondo i parametri previsti dalla legge, ma nelle quali è stata distrutta ogni forma di vita.
I corsi d'acqua imprigionati devono essere liberati e ritornare al loro naturale movimento, devono essere restituiti per quanto è possibile alle loro funzioni ecologiche, estetiche e sociali mediante la rinaturalizzazione. I corsi d'acqua sono ambienti che vanno rispettati e tutelati, in tutto il loro insieme, rive comprese.
Utilizzare scarichi per gabinetti che riducano l'uso di acqua potabile e che recuperino quella del lavandino o della doccia. Applicare ai rubinetti e alle docce dispositivi che riducano il consumo. Non gettare solventi, oli, acidi negli scarichi. Usare saponi e detergenti di origine naturale, acquistare prodotti a basso consumo di acqua (carta riciclata, coloranti e solventi naturali). Sono esempi di cose già possibili oggi e che ciascuno può fare.
Dividere all'interno di ciascun ciclo produttivo i rifiuti tossico nocivi e trattarli separatamente da altri rifiuti. Applicare tecniche di riciclo e di riuso dei rifiuti. Adottare sistemi a circuito chiuso che depurino e riusino la stessa acqua. Sostituire ovunque possibile gli elementi di sintesi chimica con altri di origine naturale. Ove è necessario prelevare dai corsi d'acqua, farlo solo garantendo che non sia intaccata la portata indispensabile alla loro conservazione. Per attuare questi provvedimenti esistono già le tecnologie, o almeno le conoscenze che consentono di ridurre l'inquinamento industriale. Devono dunque essere applicate.
Ripristinare il rapporto fra agricoltura e allevamento affinché le deiezioni animali non siano più rifiuti dannosi alle acque ma risorse, concimi naturali da usare al posto di quelli chimici. Smantellare i mega allevamenti industriali che sono una delle cause della separazione fra agricoltura e allevamento ed una delle più gravi fonti di inquinamento dell'acqua. Introdurre metodi di lotta biologica ai parassiti delle nostre piante alimentari. Fare tutto questo non peggiorerebbe la nostra situazione alimentare, al contrario.
Realizzare un catasto e un mappaggio della qualità delle acque e renderli pubblici. Sospendere ogni opera di cementificazione dei corsi d'acqua e in generale considerare la costruzione di opere un evento straordinario e non di ordinaria amministrazione. Revisionare le reti di acqua potabile per ridurre le dispersioni e isolarle dalle fognature. Evitare che le acque piovane confluiscano nella rete fognaria per non dover depurare acque che non ne avrebbero alcun bisogno. Utilizzare sistemi di depurazione che adottino tecnologie semplici il più possibile vicine ai meccanismi naturali, non energivore e a basso impatto ambientale. Istituire zone di protezione particolare attorno ai pozzi di acqua potabile per ridurre ogni possibile rischio di inquinamento. Queste sono alcune delle iniziative alla portata dei Comuni, delle Province e delle Regioni. Ci sono molti buoni motivi per metterle in atto, nessuno per non farlo.
Tutte queste non sono utopie, ma utopie concrete: piccoli e grandi cambiamenti necessari e possibili. Essendo realizzabili, con maggiore o minore difficoltà, tolgono ogni legittimità a chi continua a fare meno del minimo indispensabile per ridurre l'inquinamento. Occorre far sentire loro tutto il peso di questa mancanza di legittimazione. Per migliorare la nostra vita oggi. Per dare alle generazioni future degli umani e delle altre specie viventi la possibilità di stare dentro e vicino all'acqua come vorranno. La realizzazione deve cominciare oggi.
Solo in una terra sana e viva le piante, gli animali e gli umani possono avere radici e trasmettere vita. La terra è uno strato sottile come il guscio dell’uovo, sviluppatosi in centinaia di migliaia di anni. Ricopre il pianeta Terra, il nostro pianeta. il solo che abbiamo.
Una manciata di terra sana e viva contiene tanti esseri viventi quanti sono gli umani sul pianeta. Questi esseri viventi: vermi, acari, batteri, funghi, oggi sono minacciati dall’agricoltura chimica dal diluvio di rifiuti, dalla sigillatura della superficie compiuta per il trasporto, la produzione, l’abitazione, gli armamenti, il divertimento. Le minacce contro di loro rappresentano una minaccia per la vita intera.
Nella produzione dei nostri beni abbiamo raggiunto uno standard alto ed ancora in crescita. Però i rifiuti di questa produzione e i prodotti stessi, una volta usati, li sotterriamo come i nostri antenati dell’età della pietra sotterravano le ossa del loro bottino di caccia.
Nell’agricoltura industrializzata la terra serve come “roba”, come contenitore/sostenitore per i concimi, per le radici e i frutti delle piante. Per poter abitare e produrre, per muoverci, per divertirci, sigilliamo la superficie della terra a un ritmo spaventoso. Nei paesi dell’Europa centrale viene sigillato un metro quadrato ogni secondo. Negli ultimi trenta anni abbiamo “consumato”, cioè cementificato ed asfaltato tanta terra quanto hanno coperto i nostri antenati in tutta la storia dell’umanità.
Dobbiamo abbandonare l’antica abitudine di sotterrare i nostri rifiuti. Dobbiamo smettere di usare i terreni agricoli come una spugna per i concimi chimici e come semplice sostegno per le radici ed i frutti delle nostre colture. Dobbiamo lasciar respirare la terra, non continuare a sigillarla bensì riportare a contatto con l’aria aree sempre più vaste. Domani se non subito.
Il suolo non è depurabile, o se lo è sono necessari tempi lunghissimi. In un fiume morto la vita ricomincia a tornare dopo tre mesi. Per la “rinaturalizzazione” del suolo ci vogliono da 500 a 10.000 anni. Però non vogliamo intonare un altro lamento sugli abusi che infliggiamo alla madre terra. La coscienza della fragilità della nostra base vitale nel senso più stretto sta per diventare sapere comune. I problemi li abbiamo davanti agli occhi tutti. La seconda edizione della Fiera delle Utopie Concrete ha raccolto esperienze, progetti, idee che dimostrano che una riconversione ecologica è possibile. Ci sono soluzioni pratiche e fattibili. Sono utopie soltanto nel senso che lasciano fuori gli interessi particolari a breve termine.
Nell’agricoltura industrializzata l’inquinamento e l’erosione del suolo e la perdita di materia organica sono indicatori di una crisi più profonda. Il coltivatore diretto serve come capro espiatorio per un rapporto strumentale con la terra per il quale le alternative sono difficilmente percepibili al singolo contadino.
L’agricoltura organica dimostra nella forma più pura che una alternativa esiste ed è fattibile. L’agricoltura organica non soltanto prova che si può rinunciare all’uso dei concimi chimici, degli erbicidi e dei pesticidi, ma prima di tutto mette in evidenza la possibilità di inserirsi nei processi naturali, di trovare un modo di produrre con la natura, non contro di essa
L’agricoltura industrializzata non ha futuro, non è sostenibile. Inquina la terra e l’acqua e consuma grandi quantità di energia non rinnovabile. Anche nel campo dell’agricoltura convenzionale questa coscienza sta per diffondersi. La riduzione in molti luoghi dell’uso di concimi chimici, di erbicidi e pesticidi segnala il ritorno di metodi di produrre più vicini alla natura Queste tendenze devono essere rafforzate in modo che la conversione dell’agricoltura proceda con passi concreti verso un modo di produrre ecologicamente compatibile.
La realizzazione di questa conversione comporta e richiede la crescita di nuovi valori, di un rinnovato riconoscimento della vita e del lavoro agricolo. La conversione ecologica dell’agricoltura è in primo luogo la conversione dell’agricoltore e della sua posizione sociale.
La gestione dei rifiuti nella nostra società è un anacronismo. L’agiatezza dei paesi industrializzati si basa su una ipoteca tremenda sul futuro, perché le sostanze sotterrate negli ultimi decenni rappresentano un pericolo che si farà sentire sempre di più per i nostri figli ed i nostri nipoti .
Dobbiamo evitare, ridurre, riciclare invece di incenerire, sotterrare, dimenticare.
Evitare a monte che i rifiuti nascano. Ridurre soprattutto i rifiuti nella produzione industriale. Riciclare i rifiuti tramite una rete densa di contenitori per la raccolta differenziata, la separazione dei contenuti organici e il loro compostaggio. Ci sono numerosi strumenti finanziari, tecnici, amministrativi per una politica ecologica dei rifiuti che deve portarci presto a una riduzione della quantità dei rifiuti dall’80 al 90%.
Questo sviluppo dipende in gran parte da un cambiamento di coscienza se non da una rivoluzione culturale. Deve diventare fuori moda usare sacchetti di plastica, lattine, prodotti a uso breve e imballaggi non necessari. L’obiettivo fondante della conversione ecologica deve essere l’eliminazione dei rifiuti a lungo termine.
La diffusione della tecnocrosta deve fermarsi: gli edifici esistenti devono essere usati in modo ottimale, la costruzione edilizia deve trovare delle forme più idonee e l’uso variegato degli spazi. Il consumo della terra per il trasporto deve essere ridotto tramite una estensione del trasporto pubblico. Nella sfera giuridica i diritti e doveri collettivi verso la terra devono avere preponderanza di fronte ai diritti e doveri individuali. Dato che i processi nella terra richiedono tempi lunghissimi la prevenzione assume un’importanza particolare con questo elemento. La protezione della terra significa in primo di ridurre l’impatto umano sulla terra: sigillare di meno, non spargere e sotterrare sostanze nocive e invadere la terra il meno possibile.
Per migliaia di anni, uomini diversi tra loro, hanno creato, elaborato e strutturato il loro rapporto con la terra attraverso azioni, comportamenti e rituali che mostrano la profondità del rapporto tra l’organicità dell’uomo e l’organicità della terra. Non c’è cultura le cui origini non siano legate alle particolarità della terra in cui è sorta. L’organizzazione dello spazio ed i rapporti con i cicli vitali che si esprimano in elaborazione di racconti, di miti, in danze, canti e cerimonie legate a momenti particolari dell’anno e della vita, costituiscono un patrimonio e una ricchezza per tutti gli uomini, che l’attuale organizzazione della vita in occidente emargina e la colonizzazione economica e culturale del pianeta in nome dello sviluppo sta tentando di distruggere.
La diversità delle culture e la molteplicità di relazioni vive con la terra vanno difese e salvaguardate. Racchiudono energie vitali preziose per la conversione ecologica, che è progetto per il futuro dei viventi solo se ristabilisce una relazione profonda complessa e attenta con la tradizione e il passato. È necessario considerare drasticamente la relatività e molte volte, l’unilateralità del punto di vista sulla terra elaborato in occidente. Le tecniche e le procedure per un nuovo rapporto con la terra ci sono. Per usarle in una pratica concreta ci vuole una nuova immagine della terra.
Una volta il paradiso era nel cielo e la terra racchiudeva l’inferno. Oggi l’uomo minaccia di trasformare il cielo e la terra in un inferno. La terra non perdona l’ambizione criminale di intervenire. I problemi causati al suolo emergono lentamente, quando emergono è troppo tardi. La terra non si rinaturalizza. Siamo noi che dobbiamo mantenere le radici o svilupparle nel luogo dove abitiamo e lavoriamo e nel luogo dove siamo gli indigeni. Dobbiamo assumerci responsabilità per il pezzo di terra che si trova sotto i nostri piedi ed usare
con rispetto questo elemento di cui sappiamo poco.
Dichiarazione Fiera "Fuoco"
Il fuoco, scaldando gli uomini e permettendo loro di trasformare le sostanze, è sempre stato un elemento fondamentale della vita umana. Oggi rischia di assumere un significato sinistro: ci stiamo inimicando il sole, e il crescente riscaldamento del pianeta causato dalla rapida progressione dell'inquinamento, mette a repentaglio il futuro della terra e della vita, non meno che le possibili esplosioni del fuoco nucleare o delle armi. L'abbondanza energetica, forma moderna del fuoco rubato agli dei, da benedizione può trasformarsi in maledizione, per l'uso eccessivo e sbagliato che si fa dell'energia nella rincorsa dell'onnipotenza tecnologica e dell'illusione di poter sfuggire al pareggio dei nostri conti con la biosfera scaricando su altri - lontani da noi nello spazio e posteri nel tempo - costi sempre più alti e sempre meno pagabili. Disporre di energia industriale a volontà e dipendere in misura ormai totale dall'approvvigionamento controllato da mega-strutture energetiche altamente accentrate non aumenta ma diminuisce l'autonomia e la creatività umana. Si finisce per contare sull'energia fornita dalle centrali invece che sulle proprie molteplici energie.
Il fuoco, scaldando gli uomini e permettendo loro di trasformare le sostanze, è sempre stato un elemento fondamentale della vita umana. Oggi rischia di assumere un significato sinistro: ci stiamo inimicando il sole, e il crescente riscaldamento del pianeta causato dalla rapida progressione dell'inquinamento, mette a repentaglio il futuro della terra e della vita, non meno che le possibili esplosioni del fuoco nucleare o delle armi. L'abbondanza energetica, forma moderna del fuoco rubato agli dei, da benedizione può trasformarsi in maledizione, per l'uso eccessivo e sbagliato che si fa dell'energia nella rincorsa dell'onnipotenza tecnologica e dell'illusione di poter sfuggire al pareggio dei nostri conti con la biosfera scaricando su altri - lontani da noi nello spazio e posteri nel tempo - costi sempre più alti e sempre meno pagabili. Disporre di energia industriale a volontà e dipendere in misura ormai totale dall'approvvigionamento controllato da mega-strutture energetiche altamente accentrate non aumenta ma diminuisce l'autonomia e la creatività umana. Si finisce per contare sull'energia fornita dalle centrali invece che sulle proprie molteplici energie.
Per limitare "l'effetto-serra" e con esso l'insano surriscaldamento del pianeta è ormai chiaro che occorre innanzitutto una svolta verso la riduzione degli usi e consumi energetici inquinanti. Se fino a qualche tempo fa potevano essere considerati indici di progresso e di successo i tassi di crescita del consumo di energia oggi dovremo considerare indici di progresso e di una buona politica le quote di diminuzione che anno per anno si riusciranno a raggiungere nei consumi energetici, nel volume dei traffici e dei trasporti, nell'immissione di sostanze chimiche di sintesi e nella quantità di rifiuti che accompagnano le nostre economie.
Le cifre che oggi autorevoli consessi internazionali indicano come obiettivi urgenti da raggiungere attraverso misure di auto-limitazione del nostro impatto ambientale nocivo (come la necessità di ridurre entro l'anno 2010 di almeno il 30% le emissioni di C02) possono essere certamente discusse e precisate nei loro dettagli, ma sono univoche nel loro significato di fondo.
Ormai è venuto il momento di fare bilanci annuali non di crescita ma di verifica dei passi compiuti in direzione del risparmio dell'energia e del suo utilizzo più razionale ed efficiente, a livello mondiale, europeo, nazionale e locale. E nessuno potrà sperare che gli altri riducano l'inquinamento tanto da permettere a lui di continuare come prima.
Tuttavia occorre anche riconoscere una fondamentale esigenza di maggiore giustizia energetica. Oggi nei paesi industrializzati del pianeta i consumi energetici medi pro capite sono fino a 30-40 volte superiori a quelli medi di molti paesi del sud del mondo. Se non si vuole negare ai popoli da noi impoveriti la possibilità di raggiungere alcuni degli obiettivi che consideriamo scontati e dovuti per le nostre popolazioni - pur cooperando con essi perché evitino di ripercorrere tutta la strada inquinante dei nostri errori - diventa chiaro che il tasso di riduzione dell'inquinamento nella nostra parte del mondo dovrà essere più marcato.
La ricerca di nuove fonti energetiche rinnovabili e poco inquinanti, resa oggi ancor più attuale dall'esplodere di una nuova crisi del petrolio, non deve portare a una riabilitazione del vicolo cieco della scelta nucleare, ma al contrario a un forte impulso di ricerca, di sperimentazione e di applicazione dell'energia biosolare (sotto forma di sole, vento, acqua, biomasse residue dell'agricoltura e silvicoltura). Se l'Europa dei decenni passati si è qualificata come una comunità dell'acciaio, del carbone e del nucleare, oggi la nuova "casa comune europea" dovrà essere solare: è l'ora dell'"Eurosolar", al posto dell'"Euratom", e di conseguenza dovranno essere profondamente rivedute le scelte politiche e finanziarie. Non è più tollerabile il paradosso che l'energia solare venga utilizzata, con successo, in paesi con poco sole, ed ignorata in quelli dove il sole splende abbondantemente.
Ma oltre alla ricerca di nuove fonti di "fuoco" per le nostre esigenze energetiche, bisogna arrivare finalmente a una seria svolta verso l'uso razionale e parsimonioso delle disponibilità esistenti: a cominciare dalle case e dal riscaldamento (coibentazione, cogenerazione, attrezzi a basso consumo ed alto rendimento energetico, impianti solari, riduzione degli sprechi), dai trasporti (riduzione del traffico urbano ed extra-urbano, privilegio al mezzo pubblico, rotaia piuttosto che gomma ecc. ...). Le scelte di risparmio energetico dovranno essere incoraggiate e premiate, invece che penalizzate e comunque rese difficili. Ciò esige l'uso combinato di molti strumenti che devono essere rapidamente adeguati a questo scopo: leve fiscali, tariffarie e sovvenzioni pubbliche (che oggi aiutano chi spreca ed inquina e non stimolano l'auto-limitazione: i prezzi che paghiamo per l'energia oggi in realtà sono troppo bassi, e quindi dovranno essere adeguati al reale costo ambientale); destinazione dei mezzi alla ricerca; piani energetici adeguati a questi obiettivi. Le aziende di erogazione di energia dovranno trasformarsi da venditrici di merce (energia) tendenti a massimizzare l'offerta ed il ricavo in "aziende di servizio energetico", vincolate all'obiettivo del risparmio, della consulenza e della fornitura differenziata di energia e calore, limitandone l'erogazione al minimo indispensabile piuttosto che promuoverne l'espansione. Grande importanza avrà, a questo proposito, la valorizzazione della dimensione locale, territoriale: nella ricerca e nell'utilizzazione di tutte le fonti - anche minori - di energia e nello sforzo di pareggiare il bilancio energetico e di raggiungere gli obiettivi di diminuzione dell'inquinamento, occorre un'organizzazione a livello di bacino, con adeguato rafforzamento dei poteri e dei compiti energetici degli enti locali (Comuni, Regioni) e il decentramento della politica energetica.
Ma sarebbe sbagliato attendere l'ora x della riforma energetica e non cominciare da subito: perché non aprire degli "Sportelli di informazione e consulenza" per aiutare tutti coloro (cittadini, aziende, condomini...) che vogliano fare fin d'ora la loro parte?
Le stesse convenzioni internazionali a tutela del clima e le stesse norme sopranazionali o nazionali tendenti a diminuire l'impatto nocivo della nostra civiltà non avranno grande successo se a livello locale nelle scelte della gente, dei Comuni, delle Regioni, delle aziende, dei servizi pubblici non si adotteranno giorno per giorno comportamenti coerenti.
Assai positiva appare, a questo proposito, l'azione di quei Comuni che partecipano ad "Alleanze per il Clima" con popoli indigeni del sud del mondo, a difesa della foresta tropicale, che orientano i loro acquisti "da consumatore collettivo ecologico", che nelle loro decisioni urbanistiche contribuiscono ad una sensibile diminuzione del traffico e così via.
Grande è il ruolo dell'educazione, delle scuole, dell'informazione, dell'associazionismo ambientale: nessuna scelta di cambiare strada sarà efficace senza la convinzione e l'attivo coinvolgimento della gente, fin dall'infanzia, e con ripercussioni in tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Prezioso potrà essere il ruolo degli "Eco-istituti" e di altri strumenti di elaborazione di sapere e di comportamenti ecologici, e di una incisiva e fantasiosa opera di riavvicinamento dei bambini al contatto diretto e alla conoscenza ravvicinata della natura.
Occorrono forti motivazioni per abbandonare la via miope di rubare il fuoco ad altri popoli o alle generazioni future e per non lasciarsi sedurre dalla "Potenza di fuoco" che le politiche energetiche degli ultimi decenni sembrano mettere alla portata di chiunque, salvo poi aprire ferite irreversibili nella salute del pianeta e ridurre le persone ad apparecchi energivori.
Nuove norme, nuove politiche e nuove tecnologie di risparmio e alternativa energetica potranno essere una utile zattera contro il degrado del pianeta se naufragheranno in un mare di nuova coscienza di equilibrio e conversione ecologica.